Divorziati risposati, la proposta di Kasper

20/02/2014 
 
Kasper ha parlato dei Sacramenti per i divorziati risposati

 

KASPER HA PARLATO DEI DIVORZIATI RISPOSATI

 

Nella sua relazione il cardinale ha affrontato il tema dei sacramenti per coloro che hanno alle spalle un matrimonio fallito e sono civilmente legati in una nuova unione

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

La Chiesa non può mettere in discussione le parole di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio e chi si aspetta che dalla discussione del concistoro e poi del Sinodo emergano soluzioni «facili» e generali, per tutti, commette un errore. Ma di fronte alle difficoltà che affrontano oggi le famiglie e alla crescita esponenziale di matrimoni falliti possono essere esplorate nuove strade per rispondere alle esigenze profonde di quei divorziati risposati civilmente che riconoscono il loro fallimento, si convertono, e dopo un periodo penitenziale chiedono di essere riammessi ai sacramenti. È l'ipotesi avanzata dal cardinale Walter Kasper nella sua lunga e approfondita relazione tenuta questa mattina ai cardinali del concistoro, in presenza del Papa. Francesco aveva chiesto al teologo tedesco di non fornire risposte, ma piuttosto di suscitare domande. E questo sembra essere stato lo stile adottato da Kasper.

Il cardinale ha innanzitutto invitato a considerare il problema dei divorziati risposati anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto. Essi devono essere invitati a partecipare alla vita della Chiesa. Anche perché è sotto gli occhi di tutti il fatto che ci sono casi in cui ogni ragionevole tentativo di salvare il matrimonio risulta vano. C'è eroismo dei coniugi abbandonati che rimangono soli e vanno avanti soli, crescendo i figli. Ma molti altri ex coniugi abbandonati, anche per il bene dei figli, si risposano civilmente e non possono rinunciare al nuovo matrimonio senza nuove colpe.

La Chiesa, ha spiegato Kasper, non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù. L'indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l'impossibilità di un nuovo matrimonio mentre il precedente partner è in vita non può essere abbandonata o sciolta sulla base di un richiamo alla misericordia. Anche perché, ha fatto notare il cardinale, misericordia e fedeltà vanno insieme.

Kasper ha fatto però notare che non esiste situazione umana assolutamente priva di speranza e di soluzione. Per quanto l'uomo possa cadere in basso, non potrà mai cadere al di sotto della misericordia di Dio.

Il cardinale ha ricordato i passi già compiuti dalla Chiesa nell'ultimo secolo: nel Codice di diritto canonico del 1917 i divorziati risposati civilmente venivano considerati bigami, pubblici concubini, e dunque «infami», passibili anche di scomunica. Il nuovo Codice, promulgato da Papa Wojtyla, non prevede più queste punizioni: i divorziati risposati non sono scomunicati e anzi si afferma che essi fanno parte della Chiesa.

Per Kasper la Chiesa si trova oggi in una situazione simile a quella dell'ultimo Concilio, il Vaticano II. Anche allora esistevano, per esempio su questioni quali l'ecumenismo o la libertà religiosa, encicliche, pronunciamenti e decisioni del Sant'Uffizio che sembravano precludere altre possibili vie. Il Concilio Vaticano II, senza violare la tradizione dogmatica vincolante della Chiesa, ha però aperto delle porte. E dunque il cardinale si è chiesto se non sia possibile, analogamente, un ulteriore sviluppo anche riguardo i divorziati risposati pur senza abolire la tradizione vincolante della fede.

La possibile risposta può essere solo differenziata, ha spiegato, dato che una soluzione generale non può esistere. C'è ad esempio la situazione – ricordata nella «Familiaris consortio» di Giovanni Paolo II – di quei divorziati risposati i quali sono in coscienza soggettivamente convinti che il loro precedente matrimonio, irrimediabilmente spezzato, non sia mai stato valido. Ma la valutazione non può essere lasciata al sentimento soggettivo. Al tempo stesso la via giudiziaria non è detto sia l'unica per risolvere il problema.

Cercare infatti una soluzione solo allargando le maglie delle procedure di nullità matrimoniale sarebbe l'impressione che la Chiesa proceda in modo disonesto e in realtà conceda, sotto forma mascherata, dei divorzi cattolici.

Kasper ha quindi osservato come i divorziati risposati non possano ricevere la comunione sacramentale, ma possano ricevere quella spirituale, se spiritualmente ben disposti: lo hanno affermato sia la Congregazione per la dottrina della fede, sia Benedetto XVI durante l'incontro mondiale della famiglie a Milano. Ma chi riceve la comunione spirituale è considerato una cosa sola con Gesù Cristo. Come può essere dunque in contraddizione col comandamento dello stesso Gesù? Perché non può ricevere anche la comunione sacramentale?

Kasper ha quindi citato la Chiesa dei primordi e una prassi alla quale accennava già nel 1972 l'allora professor Joseph Ratzinger. Ricordando quanto accadeva con gli apostati, i cristiani che durante le persecuzioni, per debolezza, negavano il proprio battesimo. Per questi «lapsi» la Chiesa aveva sviluppato una pratica penitenziale canonica come una sorta di secondo battesimo, non con l'acqua, ma con le «lacrime della penitenza». Dopo il naufragio del peccato, il naufrago non doveva avere a disposizione una seconda nave, bensì una zattera di salvataggio.

Anche per quanto riguarda la prassi matrimoniale, in alcune chiese locali esisteva una consuetudine in base alla quale i cristiani che, pur essendo ancora in vita il loro primo partner, vivevano un secondo legame, dopo un tempo di penitenza avevano a disposizione non un secondo matrimonio (una nuova nave), bensì attraverso la partecipazione alla comunione, una zattera di salvataggio. Ne parlano sia Origene che Basilio il Grande e Gregorio Nazianzeno.

Sarà questa via percorribile in futuro? È la domanda che Kasper ha rimesso ai cardinali del concistoro. Non si tratterebbe comunque di «grazia a buon mercato», di misericordia a basso prezzo. Ma se ci si trova di fronte a un divorziato risposato che si pente per il fallimento del primo matrimonio, se questi ha chiarito gli obblighi provenienti da quel primo matrimonio (che per la Chiesa rimarrà l'unico valido e indissolubile), se è definitivamente escluso che possa tornare indietro, se non può abbandonare senza colpe gli impegni assunti con un nuovo matrimonio civile, se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità questa seconda unione a partire dalla fede, se si impegna ad educare i figli nella fede, se ha il desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, è possibile negargli il sacramento della penitenza e poi quello della comunione sacramentale? Su queste domande si confrontano i cardinali.

Questa possibile via non sarebbe dunque una soluzione generale e generalizzata. Non interesserebbe la gran massa delle persone divorziate e civilmente risposate. Riguarderebbe invece con ogni probabilità la parte meno consistente dei divorziati risposati, cioè quelli veramente e sinceramente interessati ad accostarsi ai sacramenti, che vivono la mancanza della comunione sacramentale come una ferita profonda. Riammetterli all'eucaristia dopo un adeguato cammino penitenziale potrebbe essere un atto di discernimento che pensa anche alla fede dei figli di queste coppie, i quali vedono i genitori che non si accostano mai ai sacramenti. Le ipotesi di Kasper distinguono in modo molto netto la situazione dei divorziati che si sono impegnati con un secondo matrimonio civile, da tutte le altre forme di convivenza come le coppie di fatto. Temi spinosi, domande alle quali non è facile dare risposta. La Chiesa «ospedale da campo» sta cominciando ad affrontarli.

 
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